I cicli del terremoto
23:43Interessante articolo sui cicli del terremoto scritto da Antonio Pascotto.
Le finestre chiuse dei palazzi che sembrano non aver subito danni dalle continue scosse di questi mesi. Calma apparente. Silenzio che parla. Cemento armato. L’Aquila come il villaggio che scopri dopo aver attraversato il Grand Canyon.Una breve sosta poi via verso nord, ma non è l’Arizona. Quei piccoli centri devastati dal sisma si chiamano Onna, San Gregorio, Paganica. Frazioni, paesi. Tra cumuli di macerie, tendopoli, centri di raccolta. In un via vai di mezzi dei vigili del fuoco e della protezione civile.
Subito i ricordi tornano a quel 23 novembre 1980. L’Irpinia. Immagini sempre uguali, indelebili, tanto indimenticabili che quando se ne parla si usa lo stesso tono, e si dicono le stesse cose. Ripetute chissà quante volte in tutti questi anni. E’ la visione collettiva di una tragedia, è il dolore che si porta addosso per sempre. Perché un terremoto non si dimentica. E quando la terra trema di nuovo è come se non fossero trascorsi né dieci, né venti, né trent’anni. Le scene si accavallano, i racconti si mescolano.
Quelli di Avellino e dell’Irpinia cominciano sempre con la cronaca di una giornata calda, troppo calda. Un clima premonitore. Poi lo strano abbaiare dei cani. E la partita allo stadio. 40mila persone. Pensa se la terra avesse tremato alle 16: una strage. Invece la terra si scuote alle 19 e 35 circa. Alla televisione c’è un’altra partita di serie A. Gioca l’Inter. Ma nessuno la vede. Un boato precede l’incredibile movimento che sbatte su e giù i pavimenti delle abitazioni come una di quelle giostre dove si paga per provare i brividi. Ma non è la stessa cosa. Stavolta non è divertente, non è il luna park. Il terremoto, prima sussultorio, diventa ondulatorio. Si balla, e si scappa. Con la speranza che la terra finisca al più presto di tremare. Ma non sarà così. Un minuto e mezzo, per un sisma, è interminabile.
Per strada enormi nuvole di fumo lasciano intravedere pietre e macerie. Si vedono i primi effetti della lunga scossa. Il dramma. Nella piazza della città capoluogo le grida di chi chiede aiuto. E l’impotenza degli altri, l’impossibilità di soccorrere chi è rimasto in bilico, su un pezzo di muro, a qualche metro di altezza. Dietro di lui il vuoto. E la morte.
Le comunicazioni sono scarse, non ci sono i telefonini, manca la corrente. Le prime notizie arrivano dalla radio: parlano di una forte scossa con epicentro nell’area napoletana. I morti sarebbero centinaia. Ci vorrà qualche giorno per capire l’esatta dimensione di un sisma che aveva colpito duramente l’Irpinia in un’area di circa 25mila chilometri quadrati, spazzando via decine di paesi: Lioni, S.Angelo dei Lombardi, Conza della Campania, Teora, Calabritto, San Mango sul Calore. Nomi fino a quel momento poco noti che divennero tristemente famosi in tutta Italia.
Morirono 2735 persone. Quasi 9mila furono gravemente ferite. Fra Campania, Basilicata e Puglia quasi 700 comuni subirono gravi danni. 37 furono completamente rasi al suolo.
Allora, come oggi, l’Italia si mobilitò. Il sistema di protezione civile non era organizzato come quello attuale, ma centinaia di migliaia di persone si misero in viaggio per raggiungere le zone terremotate e soccorrere le popolazioni rimaste senza tetto. Arrivarono beni di prima necessità, coperte, vestiti, tende e roulottes. Proprio come in Abruzzo. Perché un terremoto si ripete, è ciclico, in ogni sua fase: il dramma, la solidarietà, le polemiche.
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